Una tesi sull’Umanizzazione delle Cure in Terapia Intensiva – Intervista a Barbara Biselli
L’intervista a Barbara Biselli, 25 anni, Infermiera Professionista occupata nel Reparto di Rianimazione dell’ospedale di Rimini da marzo 2020, che ha redatto una tesi di laurea sull’Umanizzazione delle Cure dal Titolo “Umanizzare le cure in Terapia Intensiva: descrizione del processo di realizzazione delle attività e percezione del fenomeno da parte dei professionisti sanitari” prossima alla pubblicazione.
Barbara, come è nata l’idea di svolgere una tesi sull’Umanizzazione delle Cure in Terapia Intensiva, argomento così impegnato e immersivo?
“A novembre 2019, appena terminata la laurea triennale in infermieristica, ho intrapreso la laurea magistrale a Verona e mai avrei pensato di iniziare a lavorare immediatamente, tantomeno in Terapia Intensiva e durante una pandemia mondiale, dividendomi tra studio e lavoro. Fortunatamente, ho trovato accanto a me colleghi più esperti che mi hanno insegnato nel minor tempo possibile il necessario per gestire al meglio e in sicurezza il turno di lavoro, facendomi crescere progressivamente. Nonostante la stanchezza e la paura, queste sono le stesse persone in cui ho visto umanità nei gesti e nelle parole. Ciò che da subito, osservandoli, mi ha colpito è stato il piacevole contrasto tra i loro atteggiamenti, che ho cercato di rendere miei, e l’ambiente in cui lavoriamo: in Rianimazione, maggiormente rispetto ad altri ambienti di cura, il rischio di cadere nella standardizzazione apatica dell’assistenza è particolarmente elevato, a causa del tecnicismo e della specializzazione delle attività che qui vengono praticate e per la gravità delle condizioni di salute in cui generalmente riversano le persone che popolano tale ambiente. È come se, con i propri modi di fare, medici e infermieri tentino quotidianamente di attutire la freddezza e il mistero che, solo apparentemente, caratterizzano questo contesto assistenziale.
Al termine della prima ondata della pandemia, durante un turno di lavoro notturno nel mese di giugno 2020, il mio collega Andrea mi ha parlato del tutto casualmente dell’Associazione Andrea Lupo. Colpita dal significato delle iniziative che la Onlus prevede, ho chiesto ad Andrea di essere coinvolta nelle specifiche attività e ho iniziato così a partecipare agli incontri dell’Ambulatorio Follow-Up post-intensivo, che consiste nell’invitare gli ex-degenti della Rianimazione a fare ritorno in reparto dopo circa 6 mesi dalla dimissione constatandone lo stato clinico, psicologico, emotivo e relazionale.
Così, è nato il desiderio di voler divulgare ciò che in termini di Umanizzazione delle Cure la Rianimazione di Rimini realizza, portando alta la mission della Onlus e aggirando le difficoltà che l’attuale periodo storico sta imponendo alle realtà sanitarie.”
Veniamo ai contenuti del tuo lavoro e al contributo scientifico che lo studio può portare in termini di consapevolezza nel personale sanitario dell’importanza dell’Umanizzazione delle Cure…
“Grazie alla prof.ssa Federica Canzan – ricercatrice presso l’Università degli Studi di Verona – ai miei colleghi medici e infermieri e all’allora psicologa di U.O. Giulia Lisotti, è stato possibile realizzare uno studio qualitativo che ha portato alla luce la descrizione delle modalità attraverso cui, in Rianimazione, un percorso assistenziale basato sull’Umanizzazione delle Cure viene garantito alla persona dalla presa in carico fino alla fase post dimissione. Soprattutto, lo studio ha dato voce alla percezione che i professionisti sanitari hanno di questa tipologia di assistenza e alla loro emotività.
I 20 colleghi medici e infermieri intervistati hanno dato forma a pensieri su cui continuamente basiamo le nostre azioni ma su cui spesso, forse, non ci soffermiamo a riflettere. Hanno sottolineato come si impegnino quotidianamente a considerare la persona in quanto tale, nonostante generalmente si trovi in stato di coma, e non in quanto corpo affetto da patologia da curare e quanto sia importante immedesimarsi in lei e nei suoi famigliari.
In particolare è emerso il concetto dell’immedesimazione nella persona assistita e nel famigliare, come una valida strategia finalizzata ad erogare e garantire cure umane. Medici e infermieri hanno evidenziato l’importanza di privilegiare l’utilizzo di ascolto e dialogo per riuscire ad intercettare quei bisogni di salute che vanno oltre la malattia e che non vengono notificati dal suono di un allarme; riconoscono appieno il valore della presenza del famigliare accanto al letto del proprio caro, a prescindere dalle condizioni cliniche dell’assistito, favorendo l’insidiarsi della filosofia della “Rianimazione aperta” e intendendola come una vera e propria terapia per la persona e la sua famiglia. Inoltre, secondo medici e infermieri l’igiene e la cura del corpo rappresentano un profondo momento di Umanizzazione delle Cure in cui portare rispetto alla dignità della persona, così come il colloquio medico con i famigliari e la persona assistita. L’utilizzo di mascherine oscuranti per gli occhi, tappi per le orecchie, tablet, diari e televisioni – presenti in ogni postazione-degente – sono soltanto un esempio di come sia possibile assistere, materialmente, la persona in modo umano. Con estrema sincerità, hanno affermato che dal momento in cui la persona varca le porte della Rianimazione è difficile riuscire a scindere la vita professionale da quella privata, a causa della capacità di empatia e di immedesimazione del professionista nella persona e relativa famiglia. L’accompagnamento del gesto tecnico alle emozioni risulta quindi essere un modus operandi dell’assistenza che viene garantita alla persona in Rianimazione, anche per riuscire a gestire al meglio uno dei momenti più complessi dell’assistenza: sfatando un luogo comune, medici e infermieri hanno affermato che anche dopo anni di servizio in Terapia Intensiva non ci si assuefa all’evento morte della persona e che tentano di lenire la sofferenza che ne deriva umanizzando anche la morte. Questo principio si realizza cercando di accompagnare agli ultimi istanti della sua vita la persona nella maniera più indolore possibile e, se lo desiderano, mostrandolo ai famigliari. Questo turbine di emozioni più o meno intense scaturisce proprio dalla relazione che inevitabilmente si instaura con la persona e che, oltre ad essere spesso indelebile nel tempo, è in grado di far percepire al professionista, così come affermato dai soggetti intervistati, una gratificazione superiore alla retribuzione o alla riuscita di una manovra salvavita.
Come può essere realizzata l’umanizzazione delle cure anche nei confronti dei pazienti in coma, con cui non è possibile avere una interazione diretta?
“Lo studio ha portato alla luce come un’assistenza basata sull’Umanizzazione delle Cure possa essere realizzata a prescindere dalla gravità delle condizioni cliniche della persona: dallo stato di coma o di vigilanza non dipende la possibilità di attuarla, quanto più la sequenza e il tempismo con cui le diverse attività possono essere proposte alla persona, fino a convogliare poi tutte nella fase post dimissione con l’Ambulatorio del Follow-Up. L’accesso di una persona sveglia in Terapia Intensiva porterà i professionisti ad essere loquaci, accoglienti e rassicuranti nei suoi confronti; se la persona è in stato di coma, questo non le precluderà una carezza, una stretta di mano, una frase detta sottovoce. Per ottenere la fiducia della persona e garantire il successo terapeutico, i professionisti collaborano tra di loro per rendere più normale possibile il contesto: i propri modi di fare, la relazione che cercano di instaurare con l’assistito, le attività che possono essere proposte aiutano a rendere l’ambiente di cura più caldo, famigliare, meno sterile e più accogliente. Se la persona, invece, è in stato comatoso, viene dotata di tutto il supporto tecnologico e sanitario necessario al miglioramento dello stato di salute, viene mobilizzata nella migliore postura al fine di evitare complicanze e i professionisti se ne prendono cura come se fosse un proprio famigliare.”
Pensi che il tuo lavoro possa contribuire a valorizzare dal punto di vista scientifico il ruolo dell’umanizzazione delle cure, anche in termini terapeutici?
“Assolutamente. Il messaggio principale che è emerso dallo studio e che si ha intenzione di divulgare è il seguente: se la Rianimazione riesce a realizzare questa tipologia di assistenza, andando oltre la gravità delle condizioni cliniche della persona e delle caratteristiche ambientali – tra cui, prima fra tutte, la frenesia del contesto – allora ci possono riuscire anche le altre unità operative. Infatti, l’unico strumento necessario e imprescindibile è la volontà del professionista di prendersi cura della persona ed essendo, si presuppone, questo elemento innato e insito nella indole di medici e infermieri, allora l’Umanizzazione delle Cure negli ambienti assistenziali dovrebbe essere ciò che più facilmente e spontaneamente si riesce a realizzare.
Sono emerse inoltre importanti implicazioni per la pratica futura, come il mantenimento delle attività finora realizzate, frutto di anni di impegno e lavoro dell’equipe e della Onlus; l’individuazione di modalità assistenziali innovative che possano riuscire a sovrastare le difficoltà che l’attuale periodo storico impone alla sanità, incentivando la formazione riguardo tale tematica ai professionisti sanitari e la ricerca; la divulgazione dei principi e delle attività di Umanizzazione delle Cure, affinché anche gli ambienti assistenziali che ad oggi non li hanno ancora incontrati possano presto farli divenire parte integrata della propria assistenza.
La letteratura scientifica divulga da anni i benefici che un’assistenza basata sull’Umanizzazione delle Cure ha nei confronti della persona e della sua famiglia. È invece carente riguardo alla descrizione delle sue modalità di attuazione in Rianimazione e alla percezione che di essa hanno i professionisti sanitari che vi lavorano: per tali ragioni lo studio è in fase di elaborazione per essere pubblicato su una rivista scientifica.”
Barbara, un’ultima riflessione, prima di lasciarci…
“Ringrazio i miei colleghi medici e infermieri per aver ispirato la realizzazione di una indagine che punta i riflettori su valori dell’assistenza in cui credo fortemente e la Onlus, che costantemente ci ricorda quanto siano fondamentali e imprescindibili per garantire una buona qualità delle cure.”